lunedì 26 settembre 2011

L'Agrivillaggio® di Giovanni Leoni a Parma

Si tratta di un progetto di Giovanni Leoni, agricoltore di Parma, consiste nella costruzione di una comunità residenziale (60 unità residenziali per circa 200 abitanti) collegata ad una azienda agricola di 50 ettari, situati nella località Vicofertile del Comune di Parma, in modo che, da un riordino funzionale dell'azienda, sia possibile provvedere al sostentamento alimentare, energetico e sociale degli abitanti.

L'Agrivillaggio parte dalla consapevolezza del limite, cioè che le risorse naturali non sono infinite e che usandole in modo insostenibile le stiamo portando rapidamente all'esaurimento. Si differenzia da qualsiasi progetto di ecovillaggio realizzato, infatti mentre gli ecovillaggi concentrano l'attenzione sulla socialità e la salute della casa, l'Agrivillaggio parte dall'alimentazione, cioè sul come alimentare il metabolismo interno degli esseri umani, quindi il cibo, e su come alimentare il metabolismo esterno, quello degli stili di vita dipendenti dalla tecnologia più o meno energivora.

L'alimento è il vero e proprio centro del progetto, in modo che produzione, consumo, decomposizione e ricircolo tornino a costituire i legami inscindibili dell'anello vitale. Si consuma ciò che l'azienda produce e si smaltisce ciò che l'azienda può decomporre e rimettere in circolo. È il primo tentativo concreto di chiudere i cerchi metabolici lasciati aperti dalla vecchia concezione industriale della crescita lineare, non più la linearità di produzione industriale – consumo – discarica ma la circolarità dei sistemi metabolici naturali in cui lo scarto di una specie è cibo per un'altra specie.

Per essere più chiari, e sottolineare il cambio di paradigma necessario, bisogna guardare i rifiuti dal lato delle risorse che contengono e dunque smetterla di parlare di smaltimento e parlare solo ed esclusivamente di riciclo. La campagna è uno dei luoghi dove si può attuare il riciclo, non nel senso del film Gomorra, ma nel senso della chiusura dei cicli. Se cominciassimo a chiamare il nostro modello di vita invece che società dei consumi società dei rifiuti, ci apparirebbe più chiaramente l'ordine di priorità che ci troviamo ad affrontare. Quando si parla di zero emissioni si intende proprio concentrare l'azione sull'eliminazione di qualsiasi tipo di rifiuto.

Dice Leoni: “L’uomo consuma in nove mesi quello che la natura produce in dodici, accumulando ogni anno un debito spaventoso col Pianeta. Il paradosso è che una grossa percentuale delle risorse finisce inutilizzata nelle discariche. Non sfruttare più risorse di quelle che la natura produce ed eliminare gli sprechi sono le nuove sfide che dovrebbero coinvolgere ognuno di noi. Se si produce una mela, che si cominci a mangiare quella! Sarebbe già un bel traguardo”. È qui che troviamo un'altra parola chiave del progetto, l’autosostentamento, che non significa chiudersi dal rapporto con l'esterno ma puntare ad una organizzazione territoriale a rete in cui ciascun nodo è autosufficiente per buona parte delle proprie necessità e legato alle produzioni degli altri nodi per una parte minore. La forza degli agrivillaggi è proprio nell'organizzazione a rete, cooperativistica, per cui eventi straordinari, quali le calamità naturali, che dovessero colpire un nodo potranno essere superati grazie al contributo degli altri nodi. La previsione è di raggiungere l'autoproduzione di almeno il 70% dei prodotti freschi e il 100% dell'energia necessaria, stabilendo un vero sistema a chilometri zero in cui non necessariamente ciascun abitante sarà chiamato a coltivare il suo orto. Produttore e consumatore condividendo lo stesso luogo saranno artefici di un patto per la terra, incentrato sull'uso riproduttivo delle risorse e non sul loro consumo distruttivo.



venerdì 27 maggio 2011

Patagonia senza dighe


Nella regione dell’Aysén, all'estremo sud della Patagonia cilena, è in corso un insensato progetto affaristico delle multinazionali dell'energia idroelettrica con alla testa l'italiana Enel. La regione è abitata da solo 100.000 persone di cui la metà a Coyhaique la capitale. È proprio la scarsità di abitanti che consente alle grandi imprese internazionali di agire indisturbate. Grazie al vescovo di origini friulane Luis Infanti de la Mora si è venuto a sapere dei progetti di espropriazione in atto dell'acqua bene comune. Come spiega de la Mora l’acqua è diventata lo strumento e il segno di nuova colonizzazione. Egli afferma:”La privatizzazione idrica discende da una politica neo-liberale estrema, una politica che la dittatura di Pinochet ha implementato, giustificandola nella Costituzione. I governi successivi, di centrosinistra, non hanno fatto che continuare a vendere le risorse del Paese. A Pascua Lama, nel Nord del Cile, una multinazionale canadese vuole addirittura spostare un ghiacciaio per prelevare l’oro sottostante… Il mercato non sopporta alcun limite.”

Il progetto avviato da Endesa, oggi proprietà dell'Enel, chiamato Hydoaysen prevede la costruzione di cinque dighe per produrre energia elettrica da trasportare al nord con un elettrodotto di oltre 2.200 km. Giusto per rendersi conto della distanza è come se una centrale nei pressi di Reggio Calabria trasportasse la sua energia a Parigi, vi sembra abbia un qualche senso tutto questo?

Lo scorso 21 maggio a Valparaiso c'è stata una grande protesta in occasione della visita del presidente cileno Sebastian Pinera repressa dalla polizia. Come uno stucchevole ritornello, ascoltato da ogni leader o capo dello stato asservito agli interessi delle grandi compagnie private, anche il presidente cileno ha ripetuto che quelle dighe sono necessarie per produrre l'energia di cui il Cile ha bisogno, non ha detto che l'energia non sarà gratis ma i cileni dovranno comprarla al prezzo che Enel-Endesa deciderà, e che i profitti andranno da tutt'altra parte.

Da un punto di vista territoriale il progetto trasformerà radicalmente l'ambiente, il clima, le condizioni di vita delle popolazioni e il loro libero accesso all'acqua. Dalle dighe partiranno degli elettrodotti con tralicci alti settanta metri per la cui costruzione si dovranno disboscare ettari di foresta e di zone selvagge. Non è accettabile che in nome dello sviluppo (ma quale sviluppo?) si continui a portare distruzione e oppressione a livello locale concentrando la ricchezza dei profitti in poche mani globali.

Ma è un progetto che nasce vecchio, non c'è alcun bisogno di grandi concentrazioni di energia, ogni territorio deve essere autonomo e produrre in modo diffuso l'energia di cui ha bisogno, questo tipo di opere fatte oggi ha un nome, rapina a mano armata.

Per restare informati http://patagoniasenzadighe.org/

martedì 17 maggio 2011

Amburgo: Komm in die Gänge

Nell'agosto del 2009 circa 200 tra artisti, studenti, grafici, precari vari e persone che vivono con il sussidio di disoccupazione, hanno dato vita ad una riuscita occupazione di case vuote nel quartiere storico Gängeviertel di Amburgo. A differenza di altre iniziative del passato, un capillare lavoro di sensibilizzazione della città è riuscito a creare una rete di sostegno all'iniziativa che coinvolge anche alcuni settori conservatori della città.
Con lo slogan “Komm in die Gänge”, vieni nel Gänge, stanno costruendo uno spazio libero dedicato all'arte, agli incontri, alle feste. Per rendere abitabili le case disabitate da anni, e già nell'occhio della speculazione edilizia, hanno iniziato a restaurarle, grazie ad una organizzazione autonoma e partecipativa. La forma organizzativa "dal basso" e il sostegno della città alle iniziative culturali promosse, ha costretto i politici a scendere a trattative. Il comune di Amburgo, pur avendo abbandonato l'idea di venedere ad uno speculatore immobiliare olandese, vorrebbe gestire direttamente la ristrutturazione dell'area favorendo gli investitori privati. Ma gli occupanti non si sono accontentati di resistere nell'occupazione, hanno avanzato una proposta concreta di autogestione del quartiere attraverso una forma cooperativa.

L'interesse di questa iniziativa è quello di unire il riuso di una parte di notevole interesse storico della città, con la richiesta di spazi di vita, di lavoro e di comunicazionne a prezzi accessibili. L'esperienza di Komm in die Gänge pone, in modo evidente, la quastione della gestione autonoma di un quartiere in cui la "generazione precaria" possa trovare una casa e in cui lo spazio pubblico possa essere utilizzato per la crescita culturale e sociale della città.


martedì 26 aprile 2011

Non fù nucleare ma il perfido tsunami!

Oggi a Villa Madama a Roma, durante la conferenza stampa del dopo vertice bilaterale, Sarkozy, oscurato dal rutilante Berlusconi, che giocava in casa, ha detto una frase che sarebbe potuta passare alla storia: la centrale di Fukushima era perfettamente antisismica ma è stata colpita dallo tsunami, dunque ciò che è successo non è un disastro nucleare ma un semplice tsunami. Detto questo anche i tonni del pacifico possono nuotare sicuri.
Guardando e ascoltando i due "statisti" quello che preoccupa maggiormente non è l'ipotesi di un disastro nucleare casuale, guidato dal destino, ma che il controllo sulle centrali ce l'abbiano loro.

mercoledì 13 aprile 2011

Saluti dall'Adriatico

Foto montaggio con il rigassificatore off shore E-On dalla spiaggia di Grado

Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi intervenendo all'innaugurazione del rigassificatore di Rovigo ha sostenuto che l'Italia è tributaria di energia verso l'estero e deve perciò diversificare gli approvvigionamenti per evitare interruzioni delle forniture, come quelle che si sono verificate nel recente passato sul gasdotto proveniente dalla Siberia attraverso l'Ucraina. Questo rigassificatore venderà una quantità di gas pari al 10% della domanda nazionale.

Il nuovo impianto non è un'iniziativa pubblica, si tratta di un'iniziativa privata costruita sul Mare Nostrum, il più grande spazio pubblico del pianeta.

L'alto Adriatico si presta alla realizzazione di rigassificatori dati i bassi fondali e la facilità di collegamento alla rete europea dei gasdotti. Dopo l'iniziativa di Edison, Qatar Petroleoum ed Exxon mobil che hanno realizzato l'imponente struttura di Porto Levante vicino Rovigo, sono in previsione altri due impianti nel golfo di Trieste, uno in terra ferma nell'area ex Esso della spagnola Gas Natural e l'altro off shore sulla linea di profondità dei 20 m. al largo tra Grado e Monfalcone della tedesca E-On. I due rigassificatori saranno collegati con un unico gasdotto ad opera della Snam che attraverserà l'intero golfo di Trieste per “emergere” in località Fossalon di Grado e contribuire così all'abbellimento peasaggistico.

Ma i conti non tornano, stando così le cose in poco tempo avremo un aumento della disponibilità di metano del 30%!

  1. Rovigo Terminale GNL Adriatico 8 mld di metri cubi di gas l'anno (10% dell'attuale fabbisogno) - attivo
  2. Golfo di Trieste progetto E-On 8 mld di metri cubi di gas l'anno (10% dell'attuale fabbisogno) - progetto
  3. Trieste Zaule Gas Natural 8 mld di metri cubi di gas l'anno (10% dell'attuale fabbisogno) - progetto

Totale 24 mld di metri cubi di gas.

Stando ai dati forniti sul suo sito da E-On una nave metaniera di medie dimensioni da 138.000 mc fornisce il fabbisogno annuale di una cittadina di 56.000 abitanti, con un rapido calcolo il totale di metano che arriverà in alto adriatico fornirà il fabbisogno di quasi 10 mld di persone, quasi 1,5 volte la popolazione del pianeta.

Se è vero che per il 2020 l'Italia deve calare del 20% le emissioni di CO2 la domanda di metano dovrebbe calare. Dunque aumenta l'offerta, cala la domanda, i prezzi del metano dovrebbero crollare mettendo fuori mercato il GNL che ha costi di produzione molto più alti. E allora dove sta il business?

In verità tutta l'operazione rigassificatori si gioca su due piani, quello finanziario che si occupa di scommettere sui consumi e poco si occupa dei consumi reali, e quello della supremazia in Europa, che vede l'Italia, in posizione dominante grazie ai gasdotti provenienti da Russia e Nord Africa, sotto l'attacco delle multinazionali straniere.

In tutto questo chi ci rimette è tutta la popolazione che vede nell'uso sostenibile del mare una fonte di vita, di piacere, di libertà. Ciascuno di noi, che ama fare il bagno in mare, pescare, mangiare il pesce si ritroverà con l'acqua clorata per preservare le strutture sommerse del rigassificatore e molto più fredda mediamente almeno 5°C in meno. Sul piano estetico non ne parliamo nenache perchè di tutte le architetture industriali non ce n'è una più brutta.

mercoledì 6 aprile 2011

Rigassificatori

Il contenuto di energia di una nave metaniera standard (lunga circa 300m. e che contiene 125.000 mc. di metano liquefatto) è equivalente a 55 bombe di Hiroshima secondo uno studio del Pentagono.

Il gas naturale liquefatto LNG è gas metano, spesso sottoprodotto nell'estrazione del petrolio, raffreddato a – 163°C e compresso in modo da ridurre il suo volume di circa 600 volte, immagazzinato e quindi caricato su speciali navi metaniere per il trasporto. Durante la sua fase liquida è necessario garantire una temperatura di almeno -163°C, ma solitamente viene trattato a -180°C. Nella filiera produttiva del LNG c'è consumo di energia in ogni fase, per raffreddare, comprimere, trasportare immagazzinare ed in fine rigassificare.

In Italia il gas naturale, metano, arriva principalmente attraverso i metanodotti, un sistema collaudato che però non consente la varietà di forme di speculazione finanziaria che invece sono legate al trasporto del petrolio con le petroliere. Infatti lungo la rotta delle petroliere il petrolio viene comprato e venduto ripetutamente, anche se sempre in forma virtuale, consentendo enormi guadagni. Con la progressiva uscita di scena del petrolio i gruppi multinazionali che operano nel campo della speculazione sulle risorse energetiche hanno la necessità di sostituire il petrolio con un mercato globale del gas. Per fare questo è indispensabile dotare il pianeta con una anacronistica rete infrastrutturale, per dimensioni e capitale immobilizzato, fatta di centri di liquefazione del gas presso i luoghi di estrazione e di centri di rigassificazione nei paesi di maggiore consumo. Tra l'uno e l'altro si sposta la flotta di navi metaniere che rifornisce i centri di rigassificazione sulla base delle oscillazioni speculative del prezzo del metano. La liquefazione del metano è molto costosa ed incide pesantemente sul costo finale, in bolletta si pagherebbe circa un più 25%, inoltre la pericolosità intrinseca del metano liquefatto obbliga ad una complessa rete di sicurezza che costituisce un costo che ogni persona responsabile non si sentirebbe di tagliare.

Ma i manager a capo delle imprese private non sempre sono responsabili, vedi TEPCO a Fukushima, uno dei rischi maggiori deriva dalla possibilità di fughe di metano dai serbatoi invecchiati della nave o, peggio da quelli a terra. In questo caso si svilupperebbe una nube altamente infiammabile che si espanderebbe su una fascia di circa 50 km. Anche se allo stato liquido il metano non brucia, evaporando e mescolandosi con l'aria raggiunge rapidamente le condizioni di infiammabilità. A questo punto qualsiasi cosa può innescare l'incendio della nube, una sigaretta, l'accensione del motore, un cellulare. Il calore che si svilupperebbe è tale che anche a distanza, per irraggiamento, si avrebbero ustioni e incendi.

Dato che i serbatoi che contengono il gas liquido sono soggetti ad un forte stress che a lungo andare può determinare delle fessurazioni, e dato che, l'esperienza insegna, nessuna multinazionale volta al profitto speculativo è favorevole a controlli e manutenzioni serrate, vedi ancora Tepco, i rischi di incidente catastrofico sono reali in qualunque posto ci sia una nave metaniera o un impianto di rigassificazione.




martedì 5 aprile 2011

Territorio nucleare

L'organizzazione territoriale del sistema collegato all'energia nucleare scarica grandi costi sulle popolazioni. Per garantire la sicurezza ampie porzioni di territorio vengono chiuse, le libertà individuali pesantemente limitate, e intere popolazioni sono sottomesse a regole di sicurezza. Per le dimensioni dell'apparato di prevenzione e sicurezza la centrale nucleare deve essere grande, in modo da concentrare tutto l'apparato su uno spazio limitato. Grande centrale minori costi di gestione, maggiore pericolo potenziale, ed enormi quantità di spazio pubblico sottratte all'uso collettivo.

Il mondo economico non concepisce l'inaspettato, per questo si affida alla fede statistica che crea degli elenchi di "scenari" più o meno probabili. Quelli meno probabili, per gli economisti, è come se non esistessero. Come scrisse Paul Virilio quando si inventa una tecnologia si inventa anche il disastro che l'accompagna, l'invenzione del treno inventa il disastro ferroviario, l'invenzione dell'areoplano inventa il disastro aereo e l'invenzione della centrale nucleare inventa il disastro nucleare. Per quanto si stia attenti l'inaspettato può sempre accadere, per sua natura, inaspettatamente.

Inaspettatamente oggi a Fukushima tre reattori su sei sono fuori controllo, il loro nocciolo, che contiene alcune tonnellate di materiale radioattivo si sta fondendo, le protezioni sono lesionate, alti livelli di radiazioni sono misurate nel mare e ben oltre l'anello dei 30 km di pericolo dichiarato. Secondo gli USA la fascia evacuata dovrebbe essere di 80 km, circa tre milioni di persone che nessun piano di fuga può gestire. Di fatto si tratta di deportazione, persone sradicate improvvisamente dai propri luoghi e portate altrove, comunità dissolte, legami sociali cancellati. Si dice che è per garantirgli l'incolumità, ma sicuramente non è stata una loro scelta di vivere vicino ad una bomba innescata.

lunedì 4 aprile 2011

Spazio pubblico


La ristrutturazione competitiva delle economie, nonostante il perdurare della crisi ed un generalizzato impoverimento dei cittadini, sembra ancora un destino ineluttabile. Molti servizi pubblici continuano ad essere ceduti ai privati così come le piazze e le strade, gli edifici e le aree edificabili.

Solitamente si ascoltano argomentazioni su come i cittadini beneficeranno socialmente ed economicamente di queste trasformazioni della città, grazie all'arrivo degli investimenti privati, descritti sempre quali interventi filantropici in grado di dare occupazione e benessere, edifici più sani e case più accoglienti, servizi efficienti ed economici, energia abbondante a prezzi stracciati. I cittadini vedono così passare di mano beni pubblici che diventano privati, servizi vitali sui quali pochi fanno profitto a danno dei molti che si sobbarcano i costi.

Bisogna iniziare a contestare la legittimità delle pratiche attuali di privatizzazione generalizzata e di gestione della trasformazione urbana ad uso privatistico. Il diritto a decidere sugli spazi in cui le persone e il costruito si incontrano e si scontrano appartiene ai cittadini, gli amministratori sono dei semplici delegati pro tempore a cui non può essere demandata la responsabilità di decidere sui beni comuni.

Gli interessi della comunità, dei cittadini, devono trovare all'interno di processi decisionali democratici la forza per vincolare e orientare le forme e i modi dello sviluppo urbano. In altre parole la città deve essere il risultato di una coproduzione a cui partecipano i cittadini che la abitano, una produzione di senso e produzione culturale che poi si tradurrà in manufatti o anche in demolizioni. Con questo non si intende insidiare i titoli di proprietà, ma semplicemente affermare la prevalenza dell'interesse comune nella trasformazione urbana.