lunedì 4 aprile 2011

Spazio pubblico


La ristrutturazione competitiva delle economie, nonostante il perdurare della crisi ed un generalizzato impoverimento dei cittadini, sembra ancora un destino ineluttabile. Molti servizi pubblici continuano ad essere ceduti ai privati così come le piazze e le strade, gli edifici e le aree edificabili.

Solitamente si ascoltano argomentazioni su come i cittadini beneficeranno socialmente ed economicamente di queste trasformazioni della città, grazie all'arrivo degli investimenti privati, descritti sempre quali interventi filantropici in grado di dare occupazione e benessere, edifici più sani e case più accoglienti, servizi efficienti ed economici, energia abbondante a prezzi stracciati. I cittadini vedono così passare di mano beni pubblici che diventano privati, servizi vitali sui quali pochi fanno profitto a danno dei molti che si sobbarcano i costi.

Bisogna iniziare a contestare la legittimità delle pratiche attuali di privatizzazione generalizzata e di gestione della trasformazione urbana ad uso privatistico. Il diritto a decidere sugli spazi in cui le persone e il costruito si incontrano e si scontrano appartiene ai cittadini, gli amministratori sono dei semplici delegati pro tempore a cui non può essere demandata la responsabilità di decidere sui beni comuni.

Gli interessi della comunità, dei cittadini, devono trovare all'interno di processi decisionali democratici la forza per vincolare e orientare le forme e i modi dello sviluppo urbano. In altre parole la città deve essere il risultato di una coproduzione a cui partecipano i cittadini che la abitano, una produzione di senso e produzione culturale che poi si tradurrà in manufatti o anche in demolizioni. Con questo non si intende insidiare i titoli di proprietà, ma semplicemente affermare la prevalenza dell'interesse comune nella trasformazione urbana.


Nessun commento:

Posta un commento